A rischio (chi)usura oltre 176mila imprese: 58mila sono al Sud. Lo rivela uno studio
licenziato da Cgia Mestre che elabora i recenti dati della Banca d’Italia sul grado di insolvenza delle imprese dopo la pandemia.
L’area maggiormente a rischio è il Mezzogiorno, dove si contano 57.992 aziende, ovvero il 32,9% del totale.
Un dato che preoccupa e allarma il presidente di Cia Campania Alessandro Mastrocinque in merito alle imprese dell’agroalimentare, da sempre nel mirino della criminalità organizzata, soprattutto in vista delle numerose scadenze fiscali previste per settembre.
Oltre all’attività di riscossione e notifica di nuove cartelle esattoriali dell’Agenzia delle
Entrate, le imprese hanno dovuto versare Irpef, Ires, Irap e Iva. Senza contare la scadenza per il versamento delle rate della rottamazione–ter e del saldo e stralcio scadute il 31 luglio 2020.
A tal proposito Mastrocinque chiede un intervento diretto del Governo prima e della Regione poi, per mitigare il rischio di chiusura delle aziende e di incrementare l’appostamento di risorse sul Fondo di prevenzione dell’usura “per evitare di consegnare gli imprenditori alla criminalità, indebolendo non solo il tessuto produttivo, ma anche lo slancio innovativo intrapreso alla vigilia della pandemia” come spiega Mastrocinque.
“Anche le banche devono fare la loro parte e sostenere start up e le imprese di piccole dimensioni garantendo l’accesso al credito” spiega. Al dato registrato per il Sud segue il Centro con 44.854 imprese (25,4 per cento del totale), il Nordovest con 43.457 (24,6 per cento del totale) e infine il Nordest con 30.070 imprese in sofferenza (17 per cento del totale). Roma, Milano, Napoli e Torino sono le realtà territoriali maggiormente in difficoltà. Ma è sulla Campania che il presidente Mastrocinque focalizza l’attenzione, in quanto occupa il 9% delle imprese in sofferenza segnalate dallo studio di Cgia Mestre. Delle 16.470 imprese, 8.159 si registrano nella provincia di Napoli, 3.407 nella provincia di Salerno, 2.472 nella provincia di Caserta, 1.632 nella provincia di Avellino e 800 nella provincia di Benevento.
“La pandemia si è rivelata disastrosa per molte aziende. Basti pensare a coloro che non sono
rientrati nella platea dei beneficiari degli aiuti statali per mancanza di requisiti. A chi ha subito il
doppio del ribasso dei prezzi come l’ortofrutta e la quarta gamma. Penso al florovivaismo che con le chiusure della prima e seconda ondata pandemica ha registrato perdite senza precedenti” sottolinea il rappresentante di Cia Campania.
“Tutti gli imprenditori che fatto investimenti sugli impianti e che non sono riusciti a ripagare e a cui le banche hanno negato credito per mancanza di garanzie. I ristori incassati in molti casi si sono rivelati insufficienti e alla crisi è sopravvissuto soltanto chi era già strutturato. Le altre possono solo scegliere di chiudere o vengono avvicinate dalla criminalità. La disponibilità di accesso al credito resa disponibile durante la fase emergenziale deve continuare durante la ripartenza: gli effetti veri delle chiusure prodotte dalla pandemia li subiamo adesso. C’è bisogno di ulteriori misure di accompagnamento” conclude.