La religiosità popolare deve tendere ad una interiorizzazione del culto. Mons. Ciro Miniero e i Vescovi della Campania dettano alcune norme per le feste religiose. Proponiamo una essenziale rilettura del Documento della Conferenza Episcopale della nostra regione.
La pietà popolare riferiva Paolo VI non può rappresentarsi distante dall’operato pastorale. Se pure limitata perché facile alla deformazione religiosa e superstiziosa è una realtà che può indurre, se bene orientata dalla pedagogia dell’evangelizzazione, può di certo assumere un significativo valore. E’ insita, sosteneva il Pontefice, nell’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, la necessità popolare di Dio nella pietà popolare. Con la pietà popolare si legge esplicita la disponibilità alla fede da parte degli umili e dei semplici fino all’eroismo. La religiosità del popolo “…Manifesta, infatti, “una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono riconoscere; rende capaci di generosità e di sacrifici fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, noi la chiamiamo volentieri pietà popolare, religione del popolo, piuttosto che religiosità”.
Questa ricchezza della comunità credente deve servire ad evangelizzare e a liberare l’uomo. Di tanto ne era convinto Giovanni Paolo II: “..è un vero tesoro del Popolo di Dio e deve essere strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana”.
I Vescovi in linea all’insegnamento dei Sommi Pontefici, nella conclusione della XIII Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, tenutosi dal 7 al 28 ottobre 2012, nel “Messaggio al Popolo di Dio”, entro il quale si esplicitava il bisogno di ricorrere alle forme nuove di missione, senza tralasciare le manifestazioni della pietà popolare, tanto ebbero a rilevare: “Sentiamo di dover esortare le nostre parrocchie ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del Popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono permeare anche le varie, importati espressioni della pietà popolare”.
La genialità e la cultura popolare, nelle pieghe del tempo, hanno generato quelle manifestazioni popolari che non rispondono ai moduli legislativo-liturgici, ma si affermano come specifiche dinamiche spirituali di gruppi di credenti. La pietà popolare si ispira alla Rivelazione divina e alla realtà ecclesiale. I fondamenti dottrinali sono il testo sacro, la Bibbia e il “Credo” della Chiesa. E’ necessario poi chiarire che l’aggettivo “popolare” non deve essere inteso in maniera pregiudiziale e quindi negativa, ma secondo una interpretazione positiva poiché serve ad intendere che la sua manifestazione si origina e si compie nel popolo e del popolo è portatrice di valori. E’ quindi adeguata la definizione di Calabuig intorno alla pietà popolare: “..E’ quel complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità”.
Il Documento della Conferenza Episcopale della nostra regione, dal titolo “Evangelizzare la pietà popolare”, destinato ai presbiteri, ai diaconi, ai religiosi e ai laici e così interpreta le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della pietà popolare: “..Come connotati e valori della pietà popolare sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra. Per quanto riguarda gli orientamenti possiamo dire che la pietà popolare, al di là della varietà di situazioni e di culture in cui si esprime, ha alcune caratteristiche comuni: l’adorazione alla Santissima Trinità e l’amore a Dio, padre buono e provvidente, signore onnipotente, giudice giusto e misericordioso; l’attenzione amorosa per l’umanità di Cristo, contemplato soprattutto nei misteri dell’infanzia (Gesù bambino), della passione (Gesù crocifisso, l’Ecce homo, il Volto Santo), del suo amore misericordioso (Sacro Cuore) e della sua presenza nascosta (il Santissimo Sacramento); la venerazione della Madonna; la devozione degli Angeli, il culto dei Santi visti dai fedeli come amici e intercessori del popolo di Dio; la preghiera per i defunti con la celebrazione di sante Messe di suffragio e le indulgenze per i defunti, nonché con la visita dei cimiteri”.
Monsignor Ciro Miniero, Vescovo della Diocesi di Vallo della Lucania, in relazione alla situazione attuale, in linea con il dettato della Conferenza Episcopale, sostiene che “si comprenda con sollecitudine l’istanza di una religiosità essenziale che rifugga da forme colorate e rumorose e che tenda ad una interiorizzazione del culto”. Occorre, insomma, come dettato dalla Conferenza episcopale, “..purificare il culto popolare, spesso decaduto a sagra mondana e a fatto di folclore, dalle incrostazioni che si sono sovrapposte..”.
A tale scopo, incalzano Monsignor Miniero e i Vescovi della Campania, “…aggiungiamo alcune direttive pastorali che devono diventare norme operative per le nostre comunità ecclesiali riguardanti le feste religiose e le processioni – che sono di esclusiva competenza e autorizzazione dell’Autorità ecclesiastica che coinvolge, in genere, la Forza Pubblica locale per il necessario servizio di vigilanza e di sicurezza – i pellegrinaggi e i santuari. Altra cosa, invece, sono le feste popolari che nulla hanno di religioso e non sono riferibili all’Autorità ecclesiastica, perché attengono ad appositi comitati, a fatti storici e consuetudini locali, a motivazioni culturali o folcloristiche o turistiche”.
Magistero e studiosi di pastorale forniscono utili elementi indicativi per superare i limiti e i difetti della pietà popolare. L’interrelazione costante e feconda con la parola divina è il primo dei bisogni da considerare in tal senso. Occorre poi indurre la pietà popolare verso la liturgia e superare il distacco fra culto e vita. I Vescovi della Campania auspicano il benessere delle Chiese locali, in relazione alle feste religiose e alle processioni, in continuità con i predecessori che nel 1973 emanarono precise direttive intorno alla questione, confortati dai dettati dottrinali dei Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, stabiliscono quanto segue: “Le feste sono momenti importanti della vita religiosa di una comunità. Il loro insieme costituisce il “santorale locale” che deve essere custodito con ogni cura e non può essere alterato nel suo equilibrio tradizionale. Ogni nuova festa necessita perciò di espressa autorizzazione dell’Ordinario. La festa sia preparata con un “novenario” o “settenario” o “triduo” ben curati, dando ampio spazio all’ascolto della Parola di Dio per avvicinare con opportune catechesi anche i lontani al sacramento della Riconciliazione e all’adorazione eucaristica, secondo un programma preparato dal Consiglio Pastorale Parrocchiale. Si concluda la preparazione con un gesto di solidarietà all’interno o anche fuori dei confini parrocchiali” Il momento ludico festivo si rappresenta poi un importante momento per la comunità credente. Esso, comunque, è subordinato al momento religioso. L’equilibrio dei due poli della festa -quello liturgico-celebrativo e quello ludico – è frutto di sapiente dosaggio, fatto “in loco” dal Consiglio Pastorale attingendo alle tradizioni culturali del luogo. “Nell’organizzazione concreta, indica il documento, il Consiglio Parrocchiale può avvalersi di un Comitato esterno, di cui comunque devono far parte alcuni membri del Consiglio stesso. Ogni comitato va costituito secondo queste tassative norme: sia sempre presieduto dal parroco che lo forma, chiamando a farne parte persone che si distinguono per impegno ecclesiale e onestà di vita; non sia permanente, ma resti in carica per la sola celebrazione della festa, secondo il programma di massima preparato dal Consiglio Parrocchiale ed approvato dalla curia almeno un mese prima; si impegni a rispettare le norme vigenti, sia canoniche che civili (SIAE secondo la convenzione stipulata dalla CEI ed altre tasse), e a redigere entro un mese il bilancio consuntivo della festa, che deve essere vistato dal Consiglio Affari Economici, il quale per l’occasione svolge il ruolo di Collegio dei Revisori dei conti; le feste esterne siano celebrate nei giorni stabiliti dal calendario liturgico. E’ consentito conservare date tradizionali diverse, purché non coincidano con solennità che godono di assoluta precedenza (Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, SS. Trinità); le Confraternite non possono organizzare feste, né possono costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese; sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni tradizionali della vita del santo), di giochi popolari che coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai festeggiamenti; la processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità”. Il “vademecum” dei Vescovi indica le direttive intorno alle processioni: “Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di popolo. Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera. Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la processione mentre si sparano fuochi artificiali. I comitati non possono in nessun modo interferire nella processione. Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore. Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata a gesti di carità e a rendere più belle le nostre chiese”.
Fra le tipiche espressioni della pietà popolare vi è poi il pellegrinaggio. Essa è strettamente e inscindibilmente legata al Santuario. Ambedue assumono l’importanza di un cammino di conversione.
“La partenza sia opportunamente caratterizzata da un momento di preghiera nella chiesa parrocchiale oppure in un’altra più adatta. L’accoglienza dei pellegrini potrà dare luogo a una sorta di “liturgia della soglia” mentre la permanenza nel santuario costituirà il momento più intenso del pellegrinaggio e sarà caratterizzato dall’impegno di conversione, opportunamente ratificato dal sacramento della riconciliazione e dalla celebrazione eucaristica, culmine del pellegrinaggio stesso. Al termine i fedeli ringraziano Dio del dono del pellegrinaggio e chiederanno l’aiuto necessario per vivere con più generoso impegno, una volta tornati nelle loro case, la vocazione cristiana. Il santuario è un segno della presenza attiva, salvifica del Signore nella storia; è un luogo di sosta dove il popolo di Dio, pellegrinante nelle vie del mondo verso la Città futura, riprende vigore per proseguire il cammino”.
I Vescovi della Campania proibiscono l’uso di stendardi coperti di denaro e trofei votivi; proibiscono manifestazioni di isterismo che profanano il luogo sacro; i punti vendita di “ricordi” collocati nei luoghi sacri e che assumono sembianze di mercato.
Il dettato normativo dei Vescovi della Campania alle feste religiose vuole aiutare a liberarsi della pratica esteriore della religione. La pietà popolare, espressione di grande ricchezza di fede, non può rischiare, per tanti, di restare di restare un fatto superficiale e di facciata. “La religione popolare, scrive G. De Rosa, può sopravvivere ai fenomeni dell’urbanesimo e dell’industrializzazione solo se, attraverso un’intensa opera di evangelizzazione, si correggono le deviazioni e si colmano le sue lacune”.
L’intervento dei Vescovi della Campania è volto a tanto. Siamo certi che il documento “Evangelizzare la pietà popolare” fornirà un utile contributo pedagogico ai presbiteri, ai religiosi e ai laici della nostra regione per meglio comprendere la pietà popolare nel suo profondo significato valoriale.
Emilio La Greca Romano