Attraverso l’utilizzo di dati e analisi, la 23esima edizione del Rapporto annuale dell’Istat sviluppa una riflessione documentata sul presente dell’Italia, descrive le trasformazioni intervenute nel recente passato e individua le prospettive e le potenzialità di crescita del Paese.
Raccogliendo la sfida di una realtà economica e sociale in rapido cambiamento, il Rapporto 2015 concentra inoltre l’attenzione sui diversi soggetti che si muovono nel sistema produttivo, nella società e nei territori. L’obiettivo è di cogliere le loro interazioni da punti di vista relativamente inesplorati, a partire dai luoghi in cui vivono e operano, al fine di individuare i punti critici, gli elementi dinamici e i fabbisogni di intervento da offrire alle decisioni dei policy maker.
Vediamo alcuni degli aspetti salienti.
MACROECONOMIA
Nel 2014, il Pil in volume italiano ha segnato una nuova flessione in media annua (-0,4%), sintesi di una lenta discesa nei primi tre trimestri e di una variazione nulla nel quarto. Secondo la stima preliminare, nel primo trimestre 2015 il Pil ha registrato un primo aumento congiunturale (0,3% dopo cinque trimestri di variazioni negative o nulle. Il prodotto interno lordo risulta invariato su base tendenziale, mentre la crescita acquisita per il 2015 è pari a +0,2%.
La spesa per consumi finali delle famiglie è tornata a crescere (+0,3%) nel 2014, dopo il marcato calo nei due anni precedenti. Tale andamento è da collegare a quello del reddito disponibile in termini reali delle famiglie consumatrici (cioè il potere di acquisto delle famiglie) che si è stabilizzato per la prima volta dal 2008, anche grazie alla discesa dell’inflazione.
Nel 2014 gli investimenti lordi sono ancora diminuiti, segnando in media d’anno una flessione del 3,3% e un contributo alla crescita negativo per 0,7 punti percentuali. Tuttavia, nel quarto trimestre sono emersi primi segnali di recupero (+0,2% su base congiunturale).
Un contributo positivo alla crescita del prodotto interno lordo nel 2014 è giunto dalla domanda estera netta (per tre decimi di punto), grazie a una dinamica dei volumi di esportazioni di beni e servizi (+2,6%) superiore a quella delle importazioni (+1,8%).
Nella media del 2014 l’inflazione, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo, è scesa allo 0,2%, in calo di oltre un punto percentuale rispetto al 2013, come riflesso del diffondersi di spinte al ribasso che si sono progressivamente estese ai prezzi di un’ampia quota di prodotti acquistati dalle famiglie.
L’indicatore di grave deprivazione materiale è in calo per il leggero miglioramento nei livelli di reddito disponibile delle famiglie e la dinamica inflazionistica più favorevole. Nel 2014 dopo la crescita registrata tra il 2010 e il 2012 (dal 6,9 al 14,5%), tale indicatore è tornato sui livelli del 2011 (11,4% nel 2014).
Dopo due anni di contrazione, nel 2014 l’occupazione è tornata a crescere (88 mila occupati in più rispetto al 2013, +0,4%), soprattutto nelle classi di età più anziane, fra gli stranieri residenti e le donne.
Il tasso di disoccupazione è passato dal 12,1% nella media del 2013 al 12,7% del 2014, quello giovanile è cresciuto ulteriormente fino a raggiungere il 42,7% (con punte del 55,9% nel Mezzogiorno). Il tasso di disoccupazione di lunga durata si è attestato al 7,1%, sei decimi di punto in più dell’anno precedente.
A fronte della ripresa dell’occupazione nel 2014, con il 2015 si osserva un nuovo calo. In marzo (ultimi dati disponibili) l’occupazione è diminuita per il secondo mese consecutivo (-0,2% rispetto al mese precedente), il tasso di disoccupazione è aumentato, raggiungendo un livello del 13%.
SVILUPPO E TERRITORIO
La produttività è maggiore nelle città che nel resto del territorio e si traduce in benessere per i residenti urbani. Il reddito imponibile nei sistemi a specializzazione urbana è del 56,7% superiore rispetto a quello dei contribuenti dei sistemi privi di specializzazione; le Citta del Centro-nord, ma anche la Città diffusa del Nord-est e del Centro, presentano un vantaggio in termini di reddito imponibile annuo. Soltanto le città del Mezzogiorno restano al di sotto del reddito medio nazionale per contribuente.
La geografia dei distretti industriali individua i sistemi locali con elevata specializzazione nelle piccole e medie imprese della manifattura, spesso nelle produzioni del made in Italy. In dieci anni il numero dei distretti industriali si è ridotto da 181 a 141; di questi solo uno su cinque presenta la medesima configurazione del 2001, la dimensione media è infatti cresciuta in termini di comuni appartenenti.
I poli attrattivi dei sistemi locali disegnano reti di relazioni fra territori. Alcuni sistemi metropolitani hanno una struttura monocentrica in cui si individua un polo a forte attrattività (inclusi Genova, Bari, Palermo e solo Roma con policentrismo attenuato) mentre altri mostrano una struttura complessa, con più centri maggiori che interagiscono tra loro (fra gli altri, Torino, Milano e Napoli).
Le città sono sempre più orientate verso scelte smart e una gestione maggiormente eco-sostenibile dell’ambiente urbano. La generalità dei grandi comuni del Nord utilizza gli strumenti di pianificazione e programmazione ambientale. Tra i capoluoghi del Centro-sud, Roma, Napoli e Bari conseguono performance superiori alla media delle grandi città.
Le amministrazioni comunali stanno progressivamente adeguando i propri uffici e i processi di gestione agli standard ambientali internazionali di settore. Le certificazioni ISO 14001 e le registrazioni EMAS sono conseguite da uffici delle amministrazioni o di enti partecipati, rispettivamente nel 36,2 e 9,5% dei comuni (dall’8,6% del 2001 in entrambi i casi). Nel campo di azione della self-governance eco-sostenibile emergono positivamente le posizioni di Padova, Torino e Bologna, mentre intorno al valore medio delle grandi città anche il Mezzogiorno è ben rappresentato.
È ancora grande la distanza che separa i grandi comuni del Mezzogiorno da quelli del Centro-nord come motori dell’innovazione. Torino, Genova, Padova, Bologna e Firenze sono le grandi città che realizzano i migliori risultati complessivi nel campo dell’innovazione tecnologica (Catania è l’unica del Mezzogiorno), dell’innovazione eco-sociale (anche Napoli) e della trasparenza e partecipazione dei cittadini (con Messina nello stesso drappello).
IL SISTEMA PRODUTTIVO
La crisi non ha modificato in misura sostanziale la struttura produttiva dell’economia italiana. Nel 2012, la dimensione media – 3,9 addetti per impresa – è fra le più basse d‘Europa e il 47,5% degli occupati lavora in imprese con meno di 10 addetti (47,4% nel 2007).
Tra i 4,2 milioni di microimprese (meno di 10 addetti), le monoaddetto sono circa 2,2 milioni e generano il 10% del valore aggiunto del sistema produttivo. Spesso si tratta di forme di autoimpiego, cui raramente si associano obiettivi di crescita e produttività.
Nel 2012 il sistema delle imprese italiane ha investito in R&S solo lo 0,7% del Pil contro l’1,3% dell’Ue28, ma supera la media europea per propensione all’innovazione – 41,5% di imprese innovatrici rispetto a 36,0% nell’Ue28 – e per la registrazione di prodotti di design industriale e marchi.
Tra il 2010 e il 2014 la quota dell’export italiano sulle vendite totali dell’Uem nel mondo si è mantenuta stabile all’11,1% mentre è diminuita quella francese, da 13,0 a 12,2%, e sono cresciute quelle di Germania e Spagna, rispettivamente da 31,1 a 31,6% e da 6,3 a 6,8%.
Nel 2014 ci sono stati segnali di ripresa che hanno coinvolto un numero rilevante di imprese. Un’impresa con almeno 20 addetti su due del settore manifatturiero ha aumentato il fatturato totale di almeno lo 0,8%. Rispetto al 2013, sono cresciuti sia i ricavi esteri (almeno +1,6%) sia quelli interni (+0,1%). Il fatturato interno è aumentato per la prima volta da oltre tre anni.
Il recupero del 2014 è diffuso: in 14 settori manifatturieri su 23 la metà delle imprese ha aumentato il fatturato totale rispetto all’anno precedente (erano 8 nel 2013). In termini di fatturato interno lo stesso è accaduto in 12 settori su 23 (erano 7 nel 2013), che salgono a 17 per il fatturato estero (11 nel 2013).
Le imprese partecipate/controllate dal settore pubblico sono lo 0,1% delle imprese attive con almeno un addetto, occupano 750 mila addetti (il 4,6% del totale), spiegano l’11,5% del fatturato complessivo e generano il 9,8% del valore aggiunto del sistema produttivo.
Queste imprese operano in settori strategici e ad alta intensità di capitale. È partecipato o controllato dalla PA il 30% delle imprese di fornitura idrica, il 9% di quelle di gestione dei rifiuti e il 7,5% di quelle della fornitura di energia elettrica, gas e vapore.
Il legame proprietario fra PA e imprese è principalmente di controllo nel 65,5% dei casi (il 36,5% in forma diretta e il 29% indiretta) nei settori strategici e infrastrutturali. Legami di partecipazione sono relativamente più diffusi in settori a elevato contenuto di conoscenza come la ricerca e sviluppo (2,8%).
LAVORO
Nel 2014 si registrano segnali di ripresa nel mercato del lavoro dell’Ue: il tasso di occupazione sale al 64,9% (+0,8 punti in un anno). In Italia l’indicatore cresce, ma meno della media europea (55,7%, +0,2 punti). Per raggiungere la percentuale dell’Ue, gli occupati dovrebbero aumentare di circa 3,5 milioni.
Per la prima volta dal 2008, il tasso di disoccupazione scende nell’Unione europea (dal 10,8% del 2013 al 10,2) ma non in Italia, dove si attesta al 12,7% (+0,5 punti nell’ultimo anno).
Le differenze tra il nostro Paese e l’Ue si accentuano per il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro (che comprende disoccupati e inattivi disponibili a lavorare). Nel 2014 l’indicatore si attesta al 22,9% in Italia e al 13,5% nell’Unione. Marcate le differenze per il gap di genere, che è di 8 punti in Italia e di 1,6 punti nell’Ue.
Dopo due anni di calo, nel 2014 l’occupazione torna a crescere in Italia (+88 mila unità, pari allo 0,4%). Tuttavia, i divari territoriali non accennano a diminuire: la crescita riguarda soltanto il Centronord mentre il Mezzogiorno perde 45 mila occupati (-0,8%).
Il tasso di disoccupazione dei laureati è al 7,8% nel 2014, quasi nove punti in meno rispetto a quello di chi possiede la licenza media. Il divario sale a 18 punti per il tasso di mancata partecipazione (12,9% dei laureati, 30,8% dei meno istruiti).
Tra i laureati il tasso di occupazione si attesta al 75,5% nel 2014 (62,6% tra i diplomati e 42,0% tra i meno istruiti). Il vantaggio del differenziale retributivo dei laureati rispetto ai diplomati è maggiore per gli uomini.
Nel 2014 si è attenuato il calo del tasso di occupazione dei giovani 15-34enni (pari al 39,1%, -0,8 punti rispetto all’anno precedente), fino a invertire la tendenza nel quarto trimestre (+0,3 punti in confronto al quarto trimestre 2013). L’indicatore continua a crescere fra i 50-64enni: è al 54,8%, 2,2 punti in più del 2013.
L’unica forma di lavoro che continua ad aumentare quasi ininterrottamente dall’inizio della crisi è il part time. Nel 2014 sono oltre 4 milioni i lavoratori a tempo parziale, il 18,4% sul totale degli occupati (32,2% tra le donne e 8,4% tra gli uomini).
A crescere è soprattutto il part time involontario, scelto in mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno: nel 2014, quasi due lavoratori a tempo parziale su tre (63,6%) avrebbero voluto un lavoro a tempo pieno.
FAMIGLIA E SOCIETA’
A gennaio 2015 i residenti in Italia ammontano a poco meno di 61 milioni, dei quali oltre cinque milioni (8,3%) sono cittadini stranieri. Per gli italiani prosegue il trend di invecchiamento mentre fra gli stranieri residenti la quota di anziani è più bassa. Oltre il 40% degli stranieri vive nelle Città del Centro-nord, il 27% nella Città diffusa e il 19% nel Cuore verde (cfr. classificazioni pagine 7-8).
Continua a innalzarsi il livello di istruzione della popolazione italiana. Nel 2014, i residenti di 15 anni e più con qualifica o diploma di istruzione secondaria superiore sono il 35,6%, quelli con un titolo universitario sono il 12,7% (tra le donne il 13,5%).
Gli alunni stranieri sono oltre 800 mila, pari al 9% della popolazione scolastica. Aumenta di circa il 12% la presenza di alunni stranieri nati in Italia, che ormai sopravanzano i figli dei migranti arrivati in Italia dopo la nascita. La metà degli studenti stranieri tra i 10 e i 24 anni iscritti alle scuole italiane secondarie di primo e secondo grado vorrebbe proseguire gli studi e iscriversi all’Università.
Migliorano le condizioni di salute ma permangono le diseguaglianze socio-economiche e territoriali, con uno svantaggio per chi ha posizioni sociali più fragili, soprattutto nel Mezzogiorno.
Le famiglie residenti nelle aree del Sud e delle Isole segnalano difficoltà nell’accesso a tutti i servizi. Le situazioni più gravi si riscontrano nei Territori del disagio e nei Centri urbani meridionali, per l’accesso a pronto soccorso, ai presidi delle forze dell’ordine e agli uffici comunali.
Il confronto tra bisogni potenziali di assistenza sanitaria e allocazione delle risorse, finanziarie e di personale, evidenzia un forte squilibrio territoriale. Ciò potrebbe condurre a ulteriori aggravi di spesa per le famiglie e quindi a un incremento della rinuncia a prestazioni, con un rischio di sottoconsumo sanitario, pericoloso per le condizioni di salute della popolazione.