Legambiente e Protezione Civile: oltre 6 milioni di cittadini esposti a richio frane o alluvioni.

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Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile hanno presentato il rapporto Ecosistema Rioschio 2013, monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico. I dati che ne vengono fuori sono allarmanti.

Sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale; oltre 6 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. In ben 1.109 comuni (l’82% fra i 1.354 analizzati nell’indagine) sono presenti abitazioni in aree a rischio e in 779 amministrazioni (il 58% del nostro campione) in tali zone sorgono impianti industriali.

Nonostante le ripetute tragedie, anche nell’ultimo decennio sono state edificate nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni (in 186 comuni fra quelli intervistati).

Nel contempo, soltanto 55 amministrazioni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e in appena 27 comuni si è provveduto a delocalizzare insediamenti industriali. Ancora in ritardo anche le attività finalizzate all’informazione dei cittadini (dichiarano di farle in 472 comuni), essenziali per preparare la popolazione ad affrontare situazioni di emergenza.

I tre Comuni risultati più virtuosi nelle attività di mitigazione del rischio idrogeologico sono: Calenzano (FI), Agnana Calabra (RC) e Monasterolo Bormida (AT), mentre quelli meno virtuosi sono risultati San Pietro di Caridà (RC), Varsi (PR) e San Giuseppe Vesuviano (NA).

“Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. E se è ormai chiaro il ruolo determinante dell’eccessivo consumo di suolo, dell’urbanizzazione diffusa e caotica, dell’abusivismo edilizio e dell’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi nell’amplificazione del rischio, le politiche di mitigazione faticano a diffondersi. Ma non solo. Anche le risorse stanziate dopo ogni tragedia finiscono spesso a tamponare i danni, ripristinando lo stato esistente mentre sarebbe ora di pianificare interventi concreti di ripensamento di quei territori in termini di sicurezza e gestione corretta del rischio”.

«Purtroppo, in dieci anni di Ecosistema Rischio ci siamo ritrovati a dire spesso le stesse cose: il tempo è passato ma sembra sia cambiato poco o nulla nell’attenzione rivolta ai temi della protezione civile e della salvaguardia del nostro territorio» ha detto il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli. «Anche di fronte agli ultimi avvenimenti, che confermano come il rischio idrogeologico interessi la massima parte del territorio italiano e constatando una prevenzione strutturale non immediata per tempi e risorse economiche, dobbiamo tutti concentrarci sulla prevenzione di protezione civile e su una corretta informazione ai cittadini, strumenti che nell’immediato possono consentirci di salvare vite umane. Detto ciò, rimango convinto dell’urgenza di passare dalle parole ai fatti, dell’urgenza di compiere scelte importanti che pongano al vertice delle nostre preoccupazioni la salvaguardia dell’intero territorio che sta letteralmente crollando a pezzi. Per questo ho lanciato, da mesi, la proposta di una revisione delle politiche di uso del territorio, sospendendo, magari, quei progetti che possano provocare un ulteriore aggravio del rischio in un paese sempre più fragile come il nostro e investendo le poche risorse che abbiamo sulla messa in sicurezza».

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