Poliedricità, sperimentalismo, polistrumentismo. Il trait d’union tra Luca Pugliese e Tony Esposito è proprio questo: un continuo proiettarsi al di là dei confini musicali esplorati. Il loro incontro artistico fiorisce sul terreno di questo retroterra comune, nonché di un rapporto nato anni or sono sulla scia delle svariate occasioni che hanno visto il percussionista partenopeo e il musicantautore irpino condividere il palcoscenico fino a sperimentare, per dirla con le parole dello stesso Esposito «un concetto moderno di minimalismo musicale, una forma di sintesi che permette di esprimere il proprio talento con minori interlocutori possibili». Due tappe li attendono nell’immediato: venerdì 13 dicembre saranno a Colonia, in Germania, presso l’Istituto italiano di cultura, mentre domenica 15 dicembre si esibiranno a Chiusano San Domenico, nell’ambito del cartellone degli eventi natalizi organizzati dall’Amministrazione comunale.
Due artisti con molti elementi in comune, Tony Esposito e Luca Pugliese, entrambi sia musicisti sia pittori, ma anche con storie molto diverse da raccontare: da una parte il re delle percussioni, tra i musicisti più versatili della scena napoletana, autore di un album capolavoro qual è ancora oggi Rosso napoletano (1974) e della famosissima hit Kalimba de luna (1984), con alle spalle una gigantesca carriera costellata da consolidate collaborazioni, prima fra tutte quella con Pino Daniele; dall’altra un cantautore e interprete di nicchia, inaspettata scoperta per chi, in anni recenti, sta imparando sempre più a conoscerlo e ad apprezzarlo. La storia musicale di questo dirompente artista dall’estro onnivoro, musicista, cantautore, pittore e architetto, iniziata nel 2001 con il progetto musicale Fluido Ligneo, è la storia di una sperimentazione incessante, che negli ultimi anni lo ha portato a prendere le distanze dall’idea originaria di musica d’insieme per approdare a un nuovo tipo di coralità, dagli esiti ancora più originali e sorprendenti: la coralità solista del one man band. Da diversi anni, infatti, Luca Pugliese si esibisce così, per lo più nelle piazze e, unicamente a scopo sociale, nelle affollate carceri d’Italia: cassa al piede destro, charleston al piede sinistro, chitarra, voce, a volte anche armonica a bocca. La scaletta del suo concerto è l’esito di una ricerca aperta a influssi di ogni dove, che si arricchisce via via di pezzi nuovi, brani propri o cover. Difficile, a volte, distinguere gli uni e le altre, perché di identica materia sonora e di identico stile. Uno stile scarno, asciutto, fatto di melodie vocali sostenute da un’orchestra di strumenti piccola ma che sembra grande, perché a suonarli è una sola persona. Gli intrecci armonici e ritmici tra pezzi propri e grandi classici della storia della musica, scelti da un repertorio assai vario, fanno sì che l’esperienza del concerto sia un viaggio carico di attese, disseminato di soste in luoghi già visti (Mother, La guerra di Piero, Passione, Marenariello…) e in luoghi da scoprire (Giallo, La zattera di Ulisse, Attenti al bosco, Blackout…), e un crescendo di emozioni che esplode nel gran finale con l’entrata in scena di Tony Esposito, tra momenti di sperimentazione, una versione riarrangiata di Kalimba de luna e vari omaggi a Pino Daniele, tra cui spicca una Je so’ pazzo che diventa Io so paccio, rigorosamente in dialetto irpino.