Il 18° rapporto annuale del Censis presentato ieri alla stampa ci rappresenta un’Italia sempre più ripiegata su se stessa.
Una nazione ed una popolazione preoccupata del proprio futuro, incerta ed incapace di immaginare un miglioramento della propria condizione economica e sociale nei prossimi anni.
Un paese rattrappito ed inquieto, pervaso dalla sensazione di finire in povertà.
L’indebolimento del ceto medio e la solitudine crescente e strutturale di una gran parte degli individui, in particolare nella fascia più giovanile, determina una società dove le famiglie sono sempre più attendiste e poco inclini ad investire ed a scommettere sulla capacità della nazione di tornare a correre.
Quello che appare, al di la dei numeri e degli indici sull’andamento economico, sull’occupazione, sul risparmio delle famiglie, che, in molti casi addirittura sorprende, basti guardare al dato sull’aumento della liquidità dei conti correnti e dei contanti , è una popolazione, un ceto imprenditoriale e professionale che opera e vive con un atteggiamento difensivo.
Il rapporto lo definisce “attendismo cinico”, noi preferiamo definirlo sfiducia nei confronti delle classi di governo, europea, nazionale e locale.
Solo questo spiega dati impressionanti del rapporto come quelli sul 60% di cittadini pervasi dalla sensazione di poter finire in povertà da un momento all’altro o di un altro 30% inquieto.
Con una popolazione che vive in tale stato di paura e di ansia la nazione farà sempre più fatica a ripartire.
E non è sicuramente servito, come ben dimostra il Censis, e non sembra produrre effetti la spinta decisionista ed efficientista che investe il nostro paese dal 2011, con la produzione di decretazione d’urgenza che ha completamente emarginato e bypassato i corpi intermedi.
Una stagione di riforme che ha prodotto un effluvio di parole pari ad 11 volte la Divina Commedia, 1300 modifiche ai testi in vigore che non hanno prodotto modifiche ai processi reali siano essi amministrativi, economici e sociali.
L’emarginazione dei corpi intermedi considerati dagli ultimi governi ostacolo all’ammodernamento, alla semplificazione ed alla velocizzazione dei processi amministrativi ed economici non ha prodotto lo sperato decollo dello sviluppo e dell’occupazione.
Alcuni dati positivi quali quelli dell’export e della crescente attenzione e interesse per l’Italia che alberga all’estero, dall’enogastronomico al fascino per i nostri beni culturali e paesaggistici sconta l’inadeguatezza del supporto di una politica di promozione e valorizzazione.
La positività dell’export è anche la dimostrazione che senza una forte ripresa dei consumi e degli investimenti interni la nostra economia non riparte e rimane al palo la possibilità di utilizzare quel “patrimonio umano” dissipato: gli otto milioni di italiani non utilizzati o sottoutilizzati.
Gerardo Sano