Ad Aquilonia l’Associazione per la gestione del Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia”, impegnata per Statuto alla ricerca e conservazione delle tradizioni, non per nostalgia del passato ma per far conoscere alle giovani generazioni, o riportare alla memoria a chi gli avvenimenti di una volta li ha vissuti, i momenti rituali che scandivano ciclicamente la vita monotona e quotidiana della Comunità, in questi giorni si sta realizzando la rivisitazione storica di una delle tante figure allegoriche che arricchivano la vita e la spiritualità della gente : “La Quarantàna”. Per l’occasione saranno allestiti laboratori creativi per i ragazzi allo scopo di costruire “quarantàne” con rimasugli di stoffe e tessuti vari e preparare colazioni con pane duro e condimenti magri di origine non animale.
Era una ritualità frutto di un misto di sacro e profano.
Veniva rappresentata da una “pupattola” (bambolina di pezza) vestita di nero, la vedovella di Carnevale, costruita con pezzi di stoffa ricuciti intorno ad una patata fissata sotto la gonna cui venivano attaccate sette penne di gallina, sei nere e una bianca; veniva appesa ad una fune tesa tra un’abitazione e l’altra o al balcone di casa il giorno di mercoledì delle Ceneri, che quest’anno cade il 14 febbraio, giorno in cui in Chiesa il Sacerdote versa sul capo dei fedeli un pizzico delle ceneri residue dell’accensione dei rami di ulivo benedetti l’anno precedente nel giorno della Domenica delle Palme.
Ogni settimana si tirava una penna nera, in ultimo restava la penna bianca che corrispondeva alla Settimana Santa di Pasqua. Era una forma di calendario ed anche una forma religiosa di attesa della Pasqua e ricordava i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto.
Il colore nero stava ad indicare il lutto e il dispiacere per la fine-morte del Carnevale, altra figura allegorica, creata addirittura ai tempi del Paganesimo nell’Impero Romano e perfino nell’antica Grecia; era rappresentato da un pupazzo ricavato da vecchi vestiti imbottiti di paglia o fieno raffigurante un uomo rubicondo per il vino ingurgitato e con un pancione grosso per la gran quantità di cibo ingordamente divorato; nel periodo del Carnevale ogni bagoro, eccesso, scherzo, gozzoviglia, era permesso. La Quarantàna, vedova di Carnevale, e come vedova condannata a vestirsi di nero in segno di lutto, stava a ricordare a tutti che, finito il tempo degli eccessi , la baldoria dei sensi e delle trasgressioni, occorreva fare penitenza e dare inizio ad un periodo di magra e astinenza, che rispecchiava la mortificazione della gola per conseguire la purificazione del corpo e dell’anima.
In tempi più lontani addirittura si digiunava di giorno e si mangiava qualcosa solo la notte. (Da notare l’affinità con l’Islamismo, altra religione monoteista, che tuttora festeggia il ramadan con il digiuno).
Le sette penne stavano ad indicare, inoltre, i sette peccati capitali, ira, avarizia, invidia, superbia, gola, accidia, lussuria; ogni settimana si faceva ammenda per uno di questi peccati.
Aquilonia si trova ai confini con Puglia e Basilicata, per cui le tre culture si sono influenzate a vicenda nel corso dei secoli e pertanto questa ritualità della Quarantàna veniva praticata non solo ad Aquilonia ma anche in tutta l’Alta Irpinia e nei paesi dell’Appennino Dauno in Puglia e i paesi della Basilicata, più vicini.
L’iniziativa della “Quarantana” rientra in un percorso etnodemoantropologico che i ragazzi dell’Associazione stanno portando avanti. E’ partito a Natale con un laboratorio dei bambini che hanno addobbato l’albero di Natale con lavoretti costruiti con materiale comune, carta, pezzuoline di stoffa, pezzi di polistirolo ed altro.
Il 27 dicembre il Museo si è animato con sketch interpretati dagli stessi ragazzi in costumi d’epoca, ovviamente poveri, per raccontare quello che avveniva la sera della Vigilia del Natale. Un Albero di Natale è stato costruito all’esterno, alto circa sei metri, addobbato con sedie vecchie, barattoli di latta, strisce di plastica ritagliate da bottiglie di acqua, aranciata e bevande varie, e illuminato con luci di vari colori. La sedia è diventata un simbolo: rappresenta la memoria storica di ognuno di noi ed è bello portarsela in spalla per andare in giro per il mondo ed accomodarsi per ammirare le tante cose belle, e pensare e meditare sul passato senza mai smettere di guardare al futuro.
Si proseguirà il 19 marzo, festa di San Giuseppe, con l’accensione dei fuochi e la rappresentazione di quello che avveniva in serata, attorno alla brace: giochi popolari, racconti, cibi poveri cotti sul fuoco (ceci, castagne, frittelle, accompagnati da un buon bicchiere di vino). E ancora le usanze della Pasqua, la “murènna” e così via.
Alessandro Annunziata